Ginevra Lamberti — Perché comincio dalla fine

Sottotitolo consigliato: Cosa accade quando smettiamo di accadere.

Andrea H. Sesta
5 min readNov 5, 2019

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.

Una recensione del romanzo di Ginevra Lamberti intitolato Perché comincio dalla fine, uscito qualche mese fa per Marsilio.(Dopo arriviamo alla poesia.)

Avevo parlato di Ginevra Lamberti e del suo libro precedente su Finzioni, ora ne parlo qui e vorrei tanto parlargliene a voce. Ma quello che ho scritto fino a qui mi è servito più che altro per cercare un modo per introdurre l’argomento del libro senza cominciare con qualche massima sulla vita e sulla morte.

Perché comincio dalla fine è un reportage narrativo, cioè quel genere di testi in cui il narratore coincide con l’autore e l’autore si muove in una realtà che impara a conoscere e noi lettori impariamo a conoscerla insieme a lui. Posti inesplorati, fisici o virtuali (nel senso più ampio e filosofico del termine), vengono rivelati pagina dopo pagina, per giungere ad un finale in cui l’autore e la sua controparte letteraria hanno in tasca qualcosa in più rispetto a quando sono partiti.

Ginevra si muove per l’Italia, va da Taffo a Roma, dai Camillas a Pesaro, poi va a Parma a Padova a Mestre e anche nella sua valle veneta a ridosso delle Alpi con lo scopo di incontrare persone che si occupano a vario titolo della morte. Si parla di bare che in realtà sono uova solubili nel terreno, di tassidermia e di tanatoestetica. Occuparsi della morte è una cosa seria da un punto di vista materiale, ci sono leggi che regolamentano il nostro rapporto con i morti e ci sono strutture culturali che irregimentano il modo stesso in cui affrontiamo la questione.

Nel 2019 parlare di morte è più facile che in passato, ma in generale non è esattamente l’argomento che si utilizza per rompere il ghiaccio in una conversazione tra sconosciuti. “A proposito, avete letto le ultime sulla dispersione delle ceneri?”.

Infatti Ginevra non fa così. Indaga. Cerca. Domanda. Trova. Cosa trova? Quello che per la maggior parte di noi è tristezze e lutto (due sentimenti diversi su cui sarebbe il caso di fare un ragionamento più complesso di quanto sia in grando di scrivere qui e ora), per alcune persone è un campo di studio, per altre un luogo di lavoro, uno spazio di pensiero ed ispirazione, una tela su cui creare. Nulla di strano, è sempre stato così in fondo. La grande domanda che ci poniamo tutti è proprio il “cosa c’è dopo”. Alcuni rispondono niente, altri rispondono Speriamo ci sia qualcosa di bello. Eppure questa domanda ha delle ricadute concrete e sulla vita.

Diciamo che Perché comincio dalla fine è un pendolo tra due istanze. Da un lato sta il fatto che la morte sia una cosa immateriale, sia in termini di privazione di una persona che conosciamo (la famosa presenza di un’assenza) sia in termini di ricordi, memorie, visioni, sogni, speranze. Dall’altro la morte è concreta perché chi resta in vita ha a che fare con la morte e le morti altrui. Mi torna in mente quell’adagio che dice “nemmeno due migliori amici andranno mai l’uno al funerale dell’altro”. Ecco, forse quello che ci fa impazzire sta lì nella non-reciprocità.

La morte termina una vita, ma quante ne scombussola? Molte. Il che, se ci pensiamo, è ben strano.

Ovvero, sebbene siamo abituati a dare per scontato un certo senso di sgomento e dissoluzione di alcune strutture ogni volta che un caro scompare (con chi parlerò di quella cosa? chi mi farà forza? chi farà compagnia a mio nonno?…), non è facile spiegare perché un cambio di stato, per quanto radicale, debba riconfigurare tutte le relazioni attorno. Non lo sapevano fin dall’inizio che sarebbe tutto finito?

Quindi Ginevra scopre che chi ha a che fare con la morte per lavoro o per sventura, si trova in minima istanza davanti alla sua caducità, si trova piuttosto davanti ad una serie di problemi di riconfigurazione. Come i nostri nonni quando è arrivato il digitale terrestre e non sapevano più come usare i vecchi televisori.

Esistono poche cose nel creato con questo potere: la morte genera effetti che superano la portata della causa.

Cosa farne dei corpi è un problema per i vivi. Di fatto ogni problema è un problema per i vivi. Questo è il punto. Una causa: una morte; molti problemi: molti vivi. Vivere, in definitiva, vuol dire avere e tentare di risolvere problemi.

Leggendo il libro, specie nelle digressioni in cui Ginevra spiega cosa fa quando non scrive, cioè quando tira a campare affittando stanze di case a pellegrini globali, c’è una domanda di fondo che mi sono posto, ed è più o meno la seguente: a che pro affannarci con lavori nauseanti se poi crepiamo?

Questa è la domanda che mi sono posto io, come ho detto, ma è la cosa che più di ogni altra cosa mi è venuta da pensare mentre leggevo il libro. Cioè, data la nostra finitezza e dato che la speranza di una vita a venire, per quanto piacevole, non è… come dire… un’opzione che ci sentiamo di consigliare ai nostri amici… dicevo: visto che c’è un senso di precarietà costante nel nostro quotidiano e che questa precarietà è anche una certezza cosmica (la morte come la più certa delle probabilità, per intendersi), chi ce lo fa fare di vivere?

Qual è la differenza tra noi e Calvario (un mitico busto di manichino coinquino di Ginevra che la accompagna di casa in casa in una Venezia asseragliata dai turisti, allagata dall’acqua alta a causa di un Mose che non funziona)?

Il libro è divertente e surreale. Soprattutto è un libro allegro, nonostante il tema, devo scrivere. Letto il libro direte: è allegro visto il tema. E sì, perché in fondo la differenza tra noi e Calvario è presto detta, ed è la stessa che si trova nella poesia di Ungaretti che abbiamo letto all’inizio.

C’è qualcosa di divertente nella morte perché ogni volta che incontriamo la morte è un’occasione per ricordarci che non è la nostra e per quanto possa essere prossima, possiamo sempre ripartire per mare. In attesa di un naufragio? Chissà. Intanto siamo come quel lupo di mare. Siamo pronti a ripartire, di nuovo.

Se la morte è l’azzeramento delle possibilità, il libro di Ginevra ci dice che la morte è anche la certezza di averla scampata, almeno per un po’. Quel po’, in fin dei conti, è la nostra vita.

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Andrea H. Sesta

Scrivevo su @Finzioni, ora qui e su @lercionotizie. Drugo voleva solo il suo tappeto. È che dava... un tono all'ambiente.