Un gioco di specchi

Andrea H. Sesta
2 min readJan 31, 2021

Caro Dott. Augias, amico Corrado,

fai bene. Se un principe nigariano ti chiede in prestito dei soldi, nel dubbio è meglio fare la propria parte. E scusa tutti quelli che ti prendono in giro.

Nella tua rubrica dell’altro giorno, quello che non traspare è quello che innanzitutto sotto gli occhi di tutti. Alla cara signora Verzàr, a cui vanno i nostri saluti e gli auguri di una pronta risoluzione delle bagatelle burocratiche, gli uffici del comune non stanno chiedendo una postilla. Le stanno chiedendo un’apostille.

Cos’è un’apostille, si chiederanno gli amici sprovveduti che leggono il nostro carteggio. Caro Corrado, lascia che sia io a spiegarlo (come del resto l’hanno spiegato a me). L’apostille è una certificazione che convalida, con pieno valore giuridico, sul piano internazionale l’autenticità di qualsivoglia atto pubblico (fonte: wikipedia). Insomma, Corrado, lo spiego io così tu non devi ripeterlo, alla signora svizzera hanno chiesto un documento che certificasse la validità di un altro suo documento.

Tu, amico Corrado, capendo l’insussistenza di questa ricorsività burocratica, volendo aggiungere a frattale un altro frattale, hai ricarato la dose. Quanta stima che provo per te.

Dunque, davanti alla domanda scorretta della signora Verzàr hai capito che probabilmente era tutta una storiella inventata di sana pianta. Una storia con personaggi strani: l’impiegato di Berna che legge l’italiano scritto a mano da altri italiani, l’Ambasciata svizzera coinvolta per il gusto della trama, il comune di Trieste, il priorato di Sion… insomma, ognuno di questi personaggi, fossero veramente esistiti, avrebbe pur capito che alla cara Verzàr (a cui alleghiamo le condoglianze per la triste dipartita del coniuge) serviva un’apostille. Se la storia fosse stata vera.

Ma la storia vera non era.

E come un orco quando fiuta carne umana, tu, Corrado, hai pensato bene di andare a fondo della ricorsività metaletteraria e criptoburocratica della missiva incriminata. Eccoti lì allora ad immedesimarti in un povero 86enne (appena compiuti, auguri in ritado) che non sa riconoscere una banalissima mail di phishing.

Molto divertenti i passaggi finali, specie quello sui “dirigenti che non dirigono”. Chissà dunque quando i direttori del tuo giornali pubblicheranno un loro mea culpa. Quando, anche loro, ammetteranno di non aver colto la tua ironia.

Adoro questo gioco di specchi, Corrado. Davanti al falso ci si difende con un falso ancora più artefatto. Grazie.

A presto, sempre tuo,

Andrea

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Andrea H. Sesta

Scrivevo su @Finzioni, ora qui e su @lercionotizie. Drugo voleva solo il suo tappeto. È che dava... un tono all'ambiente.